Vero e falso nel romanzo

Tutti gli avvenimenti storici narrati nel romanzo sono realmente accaduti, o perlomeno sono citati in saggi e biografie (non sempre necessariamente esenti da errori, naturalmente: quando mi sono trovata di fronte a notizie divergenti, ho usato quella più funzionale alla narrazione).  Qui di seguito mi limito perciò a segnalare alcuni dei fatti più controversi e i rari casi di allontanamento volontario dalla realtà storica.

L'oggetto sulla cui ricerca verte la trama de "Il tempo del giudizio" esiste veramente. La melagrana d’avorio (anzi, in realtà, di dente d’ippopotamo), ritenuta a lungo il possibile terminale dello scettro del Sommo Sacerdote del Tempio di Gerusalemme, è un reperto alto 44 mm, acquistato dal Museo di Israele a Gerusalemme nel 1988 per $ 550.000 e lì custodito. Nel 2004, tuttavia, una commissione di esperti, incaricata di studiare il manufatto, ipotizzò che si trattasse di un falso: l’oggetto in sé risalirebbe al XIV sec. a.C. circa, 8 secoli prima della distruzione del Tempio di Salomone, mentre la scritta sarebbe una contraffazione moderna. Non tutti gli studiosi, tuttavia, concordano con questa versione dei fatti e il processo a carico dei presunti truffatori si è concluso con l’assoluzione per mancanza di prove (ma con la precisazione che questo non significa che l’oggetto sia per forza autentico). Personalmente (senza alcuna competenza in merito) sono abbastanza convinta che la maggiore antichità del materiale non infici il suo possibile riutilizzo a scopi sacri in tempi antichi, anche se magari non necessariamente in relazione proprio con il Tempio dei Gerusalemme (la scritta in questo senso è piuttosto generica). Se poi ammettiamo che Mosè sia veramente vissuto nel XIII secolo a.C. l’antichità del materiale diventa ancora più interessante ai fini del romanzo…

La prematura morte del cardinale Pietro Riario (qui in un ritratto postumo di Pietro dell'Altissimo), preceduta da un periodo di fortissimi dolori addominali, fece subito parlare di avvelenamento, la cui responsabilità, in modo abbastanza aleatorio, venne all’epoca attribuita ai veneziani. Nessuno ha mai pensato a un coinvolgimento di Girolamo Riario, per il rapporto di esibito affetto tra i due, tuttavia fu sicuramente lui, erede di tutti i beni del fratello, a trarre i maggiori vantaggi dalla sua morte. Probabilmente però non si trattò di omicidio: il cardinale soffriva di disturbi gastrici già da tempo e la descrizione dei sintomi della malattia nell’ultima fase ha fatto ipotizzare a I. L. Gatti, biografo di Pietro Riario, un tumore intestinale. L’ipotesi dell’avvelenamento non è comunque da scartare con certezza.

Gli affreschi di Melozzo da Forlì nell’abside della chiesa dei Ss. Apostoli, di cui rimangono solo alcuni frammenti, tra cui i meravigliosi Angeli musicanti, sono variamente datati al 1472 (sulla scorta di un passo di Vasari) oppure al 1478/80. Ho optato per la prima ipotesi, sostenuta tra gli altri da Lorenzo Finocchi Ghersi, Anna Melograni e Stefano Tumidei.

Il cardinale Giuliano della Rovere (qui nell'affresco di Melozzo da Forlì per la Biblioteca Vaticana) si recò a Avignone, di cui fu nominato arcivescovo il 23 maggio 1474, solo il 17 marzo 1476 e non prima del settembre 1474, come detto nel romanzo.

Della breve vita del figlio di Carlotta di Lusignano e Luigi di Savoia conosciamo ben poco. Viene nominato in una lettera di Carlotta al marito, in cui gli comunica la morte del piccolo (senza citarne il nome) e in una iscrizione sulla tomba del Gran Maestro Jacques de Milly (ora al Museo di Cluny, Parigi), che asserisce essere lì inumato anche un principe di casa Savoia, morto nel 1464 a 4 mesi di vita, di cui viene riportata l’iniziale del nome (H, che considerando i nomi famigliari, potrebbe corrispondere a Hugo o Henrique).

La notizia della relazione di Marco Venier con la damigella Emma Diarbek, al servizio di Caterina Cornaro (qui in un ritratto postumo di Tiziano), proviene da: Alboize e A. Marquet, Le prigioni più celebri d’Europa, vol. 8, Firenze, Ed. Grazzini, 1849. Non ne ho trovato menzione altrove. Gli altri testi parlano invece del fallimento della congiura a causa del tradimento di uno dei congiurati (Bartolomeo Bon) dopo una lite con il Venier.

Il meraviglioso mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto, realizzato tra il 1163 e il 1165 su commissione dell’abate Gionata dal monaco Pantaleone (come recitano alcune iscrizioni) è un incredibile repertorio di figure religiose, mitologiche, immaginarie, fantastiche, spesso di assai difficile comprensione. Tutte le immagini che ho descritto sono effettivamente presenti. Per la loro corretta interpretazione, si rimanda alla bibliografia specifica. Quella che ne ho dato nel libro è basata sì su queste letture, ma ne dà una spiegazione vista attraverso gli occhi di frate Moses, le sue angosce e le sue esigenze e non ha quindi alcuna ambizione di proposta interpretativa oggettiva.

La terza parte del romanzo si svolge quasi tutta nella Cappella Sistina, che è descritta com’era ai tempi di Sisto IV, prima degli interventi di Michelangelo. In particolare, il grande artista dipinse tra il 1508 e il 1512 la volta, eliminando il cielo stellato di Matteo d’Amelia e tra il 1536 e il 1540 il Giudizio universale, che prese il posto dell’Assunzione affrescata da Perugino e dei riquadri Nascita e ritrovamento di Mosè e Natività di Cristo, generalmente attribuiti a Perugino.

 

La frase: Astra Deus nos templa damus tu sidera pande. Tu, o Dio, doni gli astri, noi Ti dedichiamo Templi, Tu elargisci le stelle, pronunciata da Sisto IV all’ingresso nella Cappella Sistina, si trova in realtà alla base della cupola della chiesa di Sant’Eligio degli Orefici, opera di Raffaello, ma è perfettamente in sintonia con la visione teologica di Sisto IV.

La Expositio super septem visiones libri Apocalypsis, secondo H. Pfeiffer testo chiave di riferimento per l’iconografia della fase quattrocentesca della decorazione della Sistina, era attribuita allora a Sant’Ambrogio, ma, sempre secondo Pfeiffer, è più probabilmente da riferire a un autore del IX secolo.

E’ una mia nuova ipotesi, basata sul confronto con la cartografia quattrocentesca e sulle reali caratteristiche topografiche del luogo, che lo sfondo della scena della Vocazione dei primi apostoli, dipinta da Ghirlandaio, rappresenti la città di Otranto. I riferimenti alle vicende contemporanee sono numerosi, nella Sistina, e sarebbe stato strano se la tragica storia dell’assedio di Otranto non avesse lasciato tracce. Il contesto della chiamata degli apostoli potrebbe essere riferito all’appello del papa all’alleanza per cacciare i turchi.

La transenna marmorea attribuita a Mino da Fiesole, Andrea Bregno e Giovanni Dalmata che ancora oggi divide in due zone la Cappella Sistina è stata sicuramente spostata. Secondo Calvesi, in origine era posizionata in modo da dividere lo spazio secondo le stesse proporzioni di Hechal e Debir nel Tempio di Salomone (come da me scritto nel romanzo), ma il disegno della pavimentazione fa propendere altri studiosi piuttosto per una divisione a metà (che però andrebbe a impattare contro la cantoria, già posizionata quando venne realizzata la transenna). Secondo l’esperto Nicola Severino, con cui concordo, il pavimento attuale però non è solo simile ad altri pavimenti medievali cosmateschi, ma è proprio frutto di una ricostruzione avvenuta tra la fine del XV e il XVI secolo, dopo la morte di Sisto IV, sulla base di materiali di recupero da edifici precedenti e più probabilmente proprio dall’antica basilica di San Pietro. Il disegno perciò non era pensato “ad hoc” per la cappella.

Botticelli (qui in un presunto autoritratto nella sua Adorazione dei Magi) partì veramente da Roma in gran fretta, pochi giorni dopo il rinnovo del contratto, dopo aver ricevuto la notizia della morte del padre il 20 febbraio 1482. Non tornò più a Roma. E’ possibile che la causa di questa interruzione sia legata ai ritardi nei pagamenti.

La visita a Roma di Roberto Malatesta e Elisabetta da Montefeltro è di invenzione. Tuttavia gli incontri tra il Malatesta e il Riario preliminari alla Guerra del Sale ci furono sicuramente.